martedì 20 ottobre 2020

JURASSICA

Stavolta, grazie al nuovo incontro del ciclo realizzato insieme a Slow Food Piacenza, presso l’agriturismo Il Negrese di Ziano Piacentino, vi portiamo nella regione francese dello Jura. Nota soprattutto per i vini bianchi in stile ossidativo (vedi, ad esempio, alla voce Vin Jaune e Chateau Chalon, ma non solo) prodotti dal vitigno savagnin, l’area rurale della Francia centro orientale regala anche rossi intriganti e veraci dai vitigni locali poulsard e trousseau e dal pinot nero (quest’ultimo un retaggio “culturale” derivante dalla vicinanza con la Borgogna), sui quali è stata centrata la degustazione.


Cinque vini più un fuori quota all’insegna dei colori pallidi – sia il trousseau che (soprattutto) il poulsard non vantano propriamente concentrazioni cromatiche intense, tutt’altro – e di impianti gustativi mai muscolari, pieni ma sempre nervosi (anche quando la polpa e l’alcol non mancano), sapidi e più o meno sottili, risultato di un connubio suolo-clima che vive di marne calcaree variegate e di un clima tendenzialmente fresco e abbastanza piovoso.

da www.jura-vins.com


Côtes du Jura Poulsard 2016 – Philippe Butin 
Philippe Butin continua la lunga tradizione viticola famigliare in quel di Lavigny, nella parte centro meridionale della regione, ed ha fondato il suo piccolo Domaine di 5.5 ettari ormai quasi quarant’anni fa. 
L’unico Poulsard della giornata è come un acquerello. Vive di toni floreali ed ematici e sussurra aromi di confettura di fragola più una lieve sfumatura di pepe bianco. L’ingresso sembra compassato, non brilla per acidità, ma viene subito ravvivato da una scia sapida vivace che lo percorre fino alla fine dandogli persistenza. Un vino semplice, intrigante, per la tavola quotidiana. 2000 bottiglie prodotte. 

Côtes du Jura En Barberon Pinot Noir 2016 – Domaine Tissot 
Tra i Domaine storici, fondato nel 1962 da Andrè e Mireille Tissot, nel corso degli anni si è convertito alla Biodinamica (certificazione nel 2004) con l’arrivo del figlio Stephane, in azienda dagli anni ’90 e oggi tra i portabandiera della regione, anche grazie a una produzione di qualità realizzata in quantità significative (oltre 150.000 bottiglie annue). 
Dalla vigna Camus, 1.8 ettari, Stephane ottiene circa 3000 bottiglie di questa etichetta di riferimento tra i Pinot Noir della regione, che viene vinificato a grappolo intero con macerazione di un mese senza solforosa e affinamento di un anno in barriques (15% nuove). Il vino si apre su aromi intensi di frutto molto speziato (pepe verde) e quasi balsamico per articolarsi in un palato sottile e nervoso molto vivo, persino spigoloso, ma profondo che richiederà ancora un paio di anni di assestamento in bottiglia. Di grande vitalità, oggi è un Pinot Noir per chi ama la freschezza senza mezzi termini, ma saprà dare ancora più soddisfazioni negli anni a venire. 

Arbois Les Bérangères Trousseau 2012 – Jacques Puffeney 
Un decano della denominazione, Jacques Puffeney, non a caso soprannominato “Il Papa di Arbois” dai suoi colleghi vigneron, che nel 2014 dopo oltre cinquanta vendemmie ha ceduto l’azienda, o meglio, buona parte dei suoi 7.5 ettari vitati (se ne è tenuto una piccola parte). 
Les Bérangères è il primo trousseau in degustazione e subito, colore a parte, spiccano le differenze con i vini precedenti. Aumentano polpa e volume, la trama dei tannini si fa più consistente. 
L’approccio olfattivo chiede qualche minuto prima di aprirsi, quando lo fa sprigiona toni floreali e di frutti rossi, sottobosco, forse non di grande intensità (veniamo da un vino, En Barberon, dal naso esplosivo al confronto) ma di discreta complessità. Il palato è ampio e dinamico, giocato soprattutto su uno slancio tannico un po’ ruspante, ma solido, compatto e capace di dare dinamismo, e una chiusura profonda. 


Arbois Cuvée des Géologues 191 Trousseau 2014 – Lucien Aviet 
Da “Il Papa di Arbois” passiamo niente popò di meno che a “Bacchus”. Questo infatti è il nome con cui tutti a Montigny-Les-Arsures (la patria del trousseau) e non solo conoscono Lucien Aviet, da qualche anno ufficialmente in pensione, ma in realtà ancora dietro le quinte dell’azienda ormai gestita dal figlio Vincent. Cinque ettari da cui provengono alcune tra le più affascinanti bottiglie prodotte con questo vitigno. 
Il “191” prende nome dai giorni di macerazione trascorsi sulle bucce ed esordisce con toni fini di confettura di fragola e di viola, più qualche scia speziata. Un approccio in punta di fioretto. Ma è il palato a colpire per freschezza e vivacità. Diretto, lungo e quasi affilato, è supportato da tannini maturi ed eleganti. Ancora giovane e leggermente compresso, è un grande vino per il quale non sembra difficile prospettare un luminoso avvenire e che piacerà soprattutto a chi ama un certo tipo di eleganza nordica e un po’ austera. 

Arbois Cuvée des Géologues Rosiére Trousseau 2009 – Lucien Aviet 
Ancora un vino della famiglia Aviet. Una bottiglia parente della precedente, ma con minor contatto sulle bucce e il cui nome deriva dalla parcella vitata di provenienza. Oltre a ciò, i cinque anni di vita in più lo spingono su un versante olfattivo più aperto, maturo e intenso, con aromi che dal fungo porcino e dalle foglie morte si muovono verso l’arancia matura e i toni ferrosi. La struttura gustativa è tesa e fresca, vitale, dimostrando come l’apice espressivo del vino potrà durare ancora nel tempo. 


Château Chalon 2005 – Berthet-Bondet 
Fondata a metà degli anni ’80 dalla coppia di agronomi Chantal e Jean Berthet-Bondet l’azienda, oggi certificata Biologica e gestita dalla figlia Hélène, conta su una quindicina di ettari vitati, 4.5 dei quali nell’AOC Château Chalon. 
Dopo la fermentazione in acciaio inox il vino come da tradizione va incontro a un lungo affinamento “sous voile” di lieviti in botti scolme da 228 litri per ben sei anni. 
Impatto olfattivo di grande forza, trainato da sensazioni di mallo di noce e di frutta secca, tabacco, erbe secche con sfumature fumé e iodate. Struttura vigorosa e ricca, grassa ma ravvivata da una verve molto sapida e da una lunghissima persistenza. Un nettare arcaico di nobile potenza.

giovedì 8 ottobre 2020

IN VERTICALE

Finalmente riprendono le nostre degustazioni in presenza. Protagonista Willi Schaefer con il suo Graacher Domprobst Kabinett degustato in sette annate (comprese tra la 2017 e la 2007) nella affascinante Villa Barattieri di Albarola (Vigolzone, Pc). Willi Schaefer giustamente gode ormai della fama di fuoriclasse imprescindibile per capire ciò che la Mittel Mosel può offrire: il concetto di intensità senza peso espresso in forma liquida. La combinazione di aerea leggerezza ed energia propulsiva che trovano la quadratura del cerchio.


Willi, in azienda dal 1971, dal 2002 è affiancato dal figlio Christoph che ormai da cinque anni gestisce ufficialmente tutte le operazioni insieme a sua moglie, Andrea. 
Sede aziendale a Graach, tra Bernkastel e Wehlen, con 4.2 ettari vitati totali nel cuore della Mosella da cui si ottengono circa 30-35.000 bottiglie annue; le parcelle principali, di due ettari ciascuna, si trovano nel Graacher Domprobst ("Grand Cru" su suoli argillosi ricchi di ardesia grigio-bluastra di cui Schaefer è ormai nome di riferimento) e nel Graacher Himmelreich (vigna molto ampia con alcune parcelle che si avvicinano alle potenzialità del Domprobst ed altre di livello inferiore) con presenza di vigne centenarie e a piede franco, ma gli Schaefer possiedono anche 2.000 metri quadrati nel Wehlener Sonnenuhr.


Fermentazioni con lieviti indigeni in vecchi fuder da 1.000 litri e affinamento sulle fecce fino alla primavera successiva alla vendemmia (gli imbottigliamenti in genere avvengono nel mese di maggio).
 


GRAACHER DOMPROBST KABINETT - Willi Schaefer

2017 
Partenza col botto, con un grande Kabinett di altissimo livello, molto giovane, contratto e parzialmente chiuso al naso, ma veramente di alto lignaggio. Sotto toni di lieve chiusura sulfurea emerge un lato agrumato di lime e mandarino, più toni di pesca gialla. Intenso e scalpitante al palato, quasi potente a dispetto della sua bassa % alcolica e della sua leggerezza, regala un’articolazione dinamica e ricca di sprint. Finale molto lungo con colpo di coda energico e affilato, incisivo e rinfrescante. Gran vino. Elettrizzante. 

2016 
Più aperto e quieto del precedente. Il naso esibisce già lievi cenni idrocarburici, ma si apre comunque a un profilo abbastanza complesso tra pera, pompelmo, fiori gialli e spezie. Sviluppo gustativo ben bilanciato con un lato delicatamente morbido e composto che però, a confronto con il vino che lo precede, appare quasi rilassato. Ampio, più che profondo.
Rassicurante. 

2015 
Si risale di tono grazie a una versione che combina la leggerezza del Kabinett con l’intensità e la complessità di una Spätlese. Apertura su scie floreali, di pesca bianca ed erbe aromatiche (anice, melissa), agrumi, cera d’api e zafferano. L’attacco gustativo è quasi grasso, ma trova subito una grande succosità e una freschezza notevole. Finale molto lungo che chiude su toni appena accennati di caramello.
Completo. 



2014 
Il lato idrocarburico è ben integrato con i toni di fiori bianchi, pompelmo e mandorla, più un tocco di croccante alle nocciole che emerge con l’ossigenazione. Bocca relativamente semplice ed esile, ariosa e vivida, anche se più corta dei vini precedenti.
Gustoso. 

2013 
Altro anno dispari, altra annata pimpante e luminosa. Pesca gialla, radice di liquirizia, ribes ed erbe aromatiche a dominare il quadro aromatico con un lieve fondo di zafferano. Palato di buona presenza, subito rinfrescato da toni agrumati. Finale lungo, reattivo e scattante che fa danzare il vino sulla lingua.
Elegante. 



2009 
Si salta qualche vendemmia e si scavalla il confine dei dieci anni. Altra grande bottiglia. L’approccio al naso è subito minerale e si divide tra sensazioni di polvere da sparo, gesso e pietra focaia, più tocchi di idrocarburi, pesca bianca, erbe secche balsamiche e spezie. Dinamico e scattante con un tocco di crema pasticcera che contrasta la viva acidità. Finale fresco molto succoso, intenso, speziato e preciso. Complesso. 

2007 
Con la bottiglia più datata si va indietro di tredici anni. Il naso, elegante e stratificato, si apre su toni di pera, limone, pesca gialla, cumino e canfora, con contorno balsamico e lievemente fumè. 
Il palato incede con bella vitalità gustativa, ma con andamento apparentemente compassato, per lo meno più morbido rispetto al 2009, animato da scie sapide vivaci e forse senza lo sprint del campione. Prossimo all’apice della sua parabola espressiva.
Composto.



lunedì 13 luglio 2020

WINDBICHEL

Finalmente prima degustazione condivisa in presenza dopo i mesi di chiusura. Alla Tosa di Vigolzone (sui colli piacentini) è andato in scena il Windbichel di Unterortl-Castel Juval con una quasi-verticale di sei annate. Una rara occasione per mettere alla prova del tempo (che, lo diciamo subito, è stata ampiamente vinta) uno dei migliori Riesling Renano prodotti in Italia.
L’azienda è nota, oltre che per essere tra i punti di riferimento del Riesling nazionale, anche per essere di proprietà dell’alpinista Reinhold Messner che, insieme a Gisela e Martin Aurich (gestori dell’azienda), l’ha fondata nel 1992 ai piedi del Colle Juval in comune di Castelbello/Ciardes, Val Venosta. 
Tra i primi a valorizzare il Riesling nella valle e in Alto Adige, Juval oggi conta su quattro ettari complessivi per 30.000 bottiglie totali annue. 


Tra le varie etichette di Riesling prodotte, Windbichel è quella di punta e proviene da un cru di circa mezz’ettaro piantato nel 1996 ed esposto a sud a 700-750 metri slm. 
Il suolo roccioso ricco di gneiss, la pendenza del versante e la presenza del caldo vento Fohn fanno sì che le uve maturino in un microclima particolare con forti correnti d’aria e sbalzi termici tra giorno e notte. 
Vengono vendemmiati a piena maturazione (a volte in lieve surmaturazione) i primi grappoli di ogni tralcio, la fermentazione avviene in acciaio inox con controllo della temperatura, mentre l’affinamento sui lieviti si protrae fino all’imbottigliamento. Segue circa un anno in bottiglia prima della commercializzazione. 
La produzione media annua è di circa 2.500 bottiglie. 
Alla Tosa i vini sono stati scanditi da tre mini-batterie da due. Tutte le bottiglie erano tappate con chiusura a vite tranne il magnum del 2016 (sughero). 


I VINI


2017 
Approccio olfattivo fresco di mela verde quasi balsamica, frutto agrumato (mandarino) e fiori bianchi. Palato giovane: nervoso, contratto e verticale. Finale salato. Deve trovare distensione, ma c’è profondità. Di bell’avvenire.

2016 (magnum) 
Più apertura e distensione, sia al naso che in bocca. Frutto più maturo e acidità molto fine che percorre il vino dall’inizio alla fine. Gli elementi sono meglio integrati rispetto al 2017, c’è più armonia. Naso con sbuffi di miele e idrocarburi ravvivato da tratti rocciosi di selce. Bocca appagante. 

2015 
Bella maturità di frutto, toni più materici e un po’ meno eleganti rispetto ai due precedenti. Attacco morbido, volume e sale, con un approccio olfattivo che ondeggia tra frutta gialla, note di erbe aromatiche leggermente balsamiche, mandorla e idrocarburi. Il finale mantiene vivacità, ma paga leggermente in termini di slancio. 


2013 
Impatto olfattivo giocato sulla finezza e la complessità. A note minerali di roccia bagnata seguono toni di lime e mandarino, con scie di caramello e idrocarburi. La bocca entra sottile, elegante, ha slancio e lunghezza, con una vena acido-sapida inesorabile che dà sprint al bel finale. 

2010 
Naso fine ma intenso con richiami di zafferano, spezie dolci, frutti canditi e idrocarburi. 
La bocca parte cremosa e avvolgente, quasi grassa, ma trova pimpante freschezza agrumata nell’articolazione e un finale stratificato e molto sapido.

2009 
Idrocarburo e soprattutto roccia spaccata, ma anche lime candito, lieve fumè, menta. 
Palato nervoso, dinamico e profondo con ritorni di erbe aromatiche. Finale importante: fine, appagante, arricchito da una pregevole scia salata.

giovedì 21 maggio 2020

IL GIORNO E LA NOTTE

Dopo una sfilza di assaggi solitari finalmente torniamo a parlarvi di una degustazione condivisa, anche se non proprio alla vecchia maniera. Per tornare a incrociare i bicchieri è ancora presto, quindi, opportunamente riforniti i partecipanti di un goloso kit composto da due Champagne di razza e armati di webcam ci siamo ritrovati ciascuno nella propria abitazione. Un gradevole paliativo che speriamo possa anticipare un imminente ritorno alle degustazioni in presenza. 
La scelta è caduta su due bottiglie didattiche che hanno esaltato le differenze tra i due diversi territori di provenienza, Côtes des Blancs e Montagne de Reims, e tra i due vitigni impiegati, chardonnay e pinot noir: l’elegante Blanc de Blancs Grand Cru di R&L Legras (storica Maison di Chouilly nota soprattutto per le cuvée St. Vincent e Présidence) a confronto con il più terragno Grand Cru Nature di Pierson-Cuvelier, piccolo (50.000 bottiglie in tutto) récoltant di Louvois. 
Due Champagne, certo, ma tra loro diversi come il giorno dalla notte.


Blanc de Blancs brut GC - R&L Legras 
Frutto dell’assemblaggio di due annate (65%-2015 e 35%-2014) questa sboccatura di ottobre 2019 proviene da uve del comune di Chouilly, per il 40% di proprietà e per il restante 60% da fidati vigneron. Viene utilizzata solo la prima spremitura con vinificazione in acciaio inox e la malolattica è svolta. Dosaggio di 7 gr/l. Figlio del suolo calcareo di Chouilly, questo Blanc de Blancs è il biglietto da visita di Legras.
Colore paglierino brillante e perlage molto fine e persistente. Il naso evidenzia profumi intensi di mela golden uniti a delicate note floreali di glicine che virano verso il pan brioche e le arachidi, sfumando su toni marini e di erbe aromatiche. Il sorso attacca avvolgente e cremoso, progredisce fresco e salino acquisendo via via profondità gustativa e scorrevolezza al tempo stesso. Trova nell’eleganza, nella raffinatezza e nella bevibilità i suoi punti di forza. 


Cuvée Prestige brut nature GC - Pierson Cuvelier
Ottenuto da vigne di oltre 35 anni nei comuni Grand Cru di Louvois, dove ha sede l'azienda, Bouzy e Ay condotte in regime di Lotta Integrata. Per questa etichetta viene utilizzata solo la prima spremitura (il cosiddetto coeur de cuvée) vinificata in acciaio inox. Affinamento sui lieviti di circa 48 mesi. 
La base del dégorgement in degustazione (ottobre 2018) è costituita da vino dell'annata 2014 (60%) con aggiunta delle annate 2013 (20%) e 2012 (20%). Non dosato. Produzione: 5.000 bottiglie. 
Colore paglierino brillante con riflessi leggermente ramati. Il naso parte quasi austero e colpisce con note di mela renetta, piccoli frutti rossi, cipria e toni agrumati che richiamano la scorza d’arancia. La bocca si sviluppa senza compromessi, è incisiva e quasi rude. La beva è tesa e sapida, mentre il finale asciutto e leggermente amarognolo richiama il bergamotto. Un purosangue non addomesticato che sembra fatto apposta per la tavola.

giovedì 7 maggio 2020

CHASSAGNE-MONTRACHET LES CAILLERETS 2013 - LAMY CAILLAT

Il micro-Domaine Lamy-Caillat ha sede in uno dei comuni più importanti per la Borgogna bianchista, Chassagne-Montrachet, ed è stato fondato da Sébastien Caillat e dalla moglie Florence Lamy un decennio fa, quando insieme hanno rilevato da un anziano vignaiolo 1.2 ettari in alcuni dei cru più rappresentativi della zona. 
La prima vendemmia ufficiale risale al 2011 e da subito è apparsa chiara l’intenzione di produrre vini tradizionali e artigianali frutto di una viticoltura ecosostenibile e di un approccio quasi minimalista in cantina. Vini ricchi di sostanza, spessore e profondità. Un approccio che non è frutto di improvvisazione, ma di una consapevolezza acquisita attraverso anni di lavoro nel più grande e conosciuto Domaine Lamy-Pillot (di proprietà della famiglia di Florence), dove i due tuttora mantengono un ruolo importante.


Il Domaine Lamy-Caillat propone quattro etichette con una produzione realmente confidenziale: circa 7.000 bottiglie annue distribuite tra tre Premier Cru (Les Caillerets, La Romanèe, Les Champs Gains) e un Village (Pot Bois). 
La vigna “Cailleret” di Chassagne si estende a 250-300 metri s.l.m. per complessivi dieci ettari (suddivisi tra una ventina di proprietari) esposti al sole del mattino e prende nome dall’abbondanza di ciottoli calcarei nel suolo, ricco di marna pietrosa venata di bianco. Classificata come Premier Cru, viene generalmente considerata al top della categoria, un “quasi Grand Cru”.


La superficie a disposizione di Lamy-Caillat è di 0.55 ettari da cui vengono prodotte circa 3.500 bottiglie. Dopo pressatura effettuata con una vecchia pressa meccanica manuale, il mosto viene trasferito in botti di rovere (30% nuove, il resto di 4-5 anni) per la fermentazione alcolica e la malolattica. Il vino resta a contatto con i propri lieviti per un anno senza bâtonnages. La massa viene poi trasferita in acciaio dove sosta un ulteriore anno e dove viene eseguito un unico bâtonnage. Segue imbottigliamento a mano direttamente dalla vasca e senza filtrazione.


Chassagne-Motrachet Les Caillerets 1er Cru 2013 – Lamy-Caillat 
Frutto di un’annata fresca, il vino evidenzia un colore paglierino intenso dai riflessi oro. 
Il naso è caleidoscopico e mostra profumi di erba limoncella, erbe aromatiche e mela golden, con suggestioni speziate, di cioccolato bianco, lieve burro e richiami gessosi. L’ingresso in bocca è pieno, avvolgente e potente, ma subito dopo il sorso si articola in un poderoso allungo che si sviluppa fresco e agrumato, supportato da un’onda salata. Il finale, vibrante ed energico, richiama intense note di bacche di vaniglia. 
Un vino multidimensionale, materico e slanciato, di grande raffinatezza strutturale. Completo.